Se mi è concesso essere sincera in questo mondo in continua evoluzione tra testosterone e estrogeni, vorrei fare un appunto rapido e indolore.
Nei lontani anni Novanta – quando la moda la faceva la tipa un po’ freestyle un po’ hip-hop della Onyx – noi piccole donne avevamo grandi aspirazioni. Siamo cresciute con l’aspirazione della carriera, della femminilità e della libertà in tacco 12, quella che poi abbiamo imparato a conoscere come Manolo Blahnik o Christian Louboutin (Dio benedica la HBO e Sex & The City). Ma, oltre a moda e stiletti, siamo cresciute con il senso dell’emancipazione e dell’autonomia. Abbiamo conquistato uffici e scrivanie, abbiamo rivoluzionato il mondo dei libri e dello sport e abbiamo fatto sentire la nostra voce in politica. Abbiamo organizzato community online e offline di blogger e mamme e messo su famiglia tra tacco e biberon. Abbiamo fatto vedere che possiamo essere CEO e instagrammer allo stesso tempo e che aprire una start-up non è più una cosa di soli uomini.
Ecco, non vorrei mettere un freno al vostro (e al mio) entusiasmo, ma ci sono alcuni punti da chiarire.
Nonostante i passi in avanti, infatti, siamo ancora qui, sgomitanti tra la folla come in metro alle 8.30 del mattino, a farci largo tra stereotipi e pregiudizi. Oggi in Italia c’è ancora molto bisogno di parlare di donne. Dal mondo digitale alla politica passando per il mondo imprenditoriale, le difficoltà sono ancora evidenti e noi donne siamo viste come una minaccia e non come una risorsa. Nel mondo digitale, le donne che ricoprono ruoli tecnici sono ancora pochissime, mentre in politica, nonostante la crescita rispetto alla precedente legislatura, la presenza femminile è ancora scarsa (vivendo nel frattempo isterie mediatiche tra cosciometri e commenti sessisti). Non cambia di molto nel mondo dell’imprenditoria, dove i successi non sono merito della nostra bravura, ma spesso della nostra bellezza – dicono. Senza menzionare il mondo dell’Università, dove se fai il dottorato rimani una signorina e di rado una dottoressa.
Ecco. Non fingiamoci soddisfatte o appagate da titoletti a firma di chi le donne preferirebbe tenerle a distanza, se non fosse obbligato dalle quote rose. Essere donna in Italia spaventa aziende e società e avere le ovaie (maternità compresa) è visto il più delle volte come un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi.
E fuori dalle logiche aziendali? Nessuno avrebbe immaginato che diritti per i quali noi e le generazioni prima di noi abbiamo lottato per anni rischiano di essere spazzati via dalla follia patriarcale di chi (il senatore leghista Pillon) vorrebbe decidere sulla nostra autodeterminazione e sulla nostra sessualità, minacciando la 194 e ‘impedendo alle donne di abortire’, dice. Per non parlare del Ddl che porta il suo nome sull’affido condiviso e la ‘bigenitorialità perfetta’ – come lui la definisce – che non solo ridurrebbe la donna (spesso vittime di violenza) a mero oggetto della mediazione forzata, ma comporterebbe, inoltre, problemi al figlio della coppia. E se questo non fosse già abbastanza, il ritorno al Medioevo con la nascita dell’intergruppo Vita, Famiglia e Libertà (che riunisce 150 parlamentari) promosso dallo stesso Pillon, con l’obiettivo di giocare “una partita d’attacco” contro la “deriva antropologica frutto di una cultura cosmopolita e perversa”. Tradotto: schiacciare i diritti delle donne, delle persone Lgbt+ e dei cittadini che vogliono decidere liberamente sulla propria vita.
Così si spiega perché oggi in Italia – più di prima – c’è bisogno di parlare di donne e di far parlare le donne. Ma soprattutto c’è bisogno di donne: abbiamo bisogno di più girl power, che non sia fatto di bodyshaming e basso gossip, ma di diritti, tutele e garanzie.