
Stiamo perdendo l’intimità. La morale dei nostri giorni potrebbe essere questa. La puntata di gennaio di Morgana, il podcast a firma Michela Murgia che dà voce a donne (e streghe!), dedicato all’artista Marina Abramovic, apre una riflessione, insieme a Barbara Alberti, su quella che è l’intimità oggi nel mondo iperconnesso dei social media. In parole povere – e in un senso più introspettivo – la riflessione si apre sull’abilità che abbiamo sviluppato nel «negare e svilire» la nostra intimità, per usare le parole di Barbara Alberti.
SEMPRE più connessi e sempre più distanti
Non ce ne accorgiamo, o non ne abbiamo preso completamente consapevolezza. Ma a poco a poco, post su post, stiamo rinunciando alla nostra individualità, nel senso della nostra persona, per buttarci nella fiera delle vanità dei social media, fatta di preset, viaggi e #onthetable. Un mondo fantastico dove il comun denominatore è l’hashtag e dove sembra difficile capire chi fa cosa e come mantiene vivo il conto in banca ogni mese.
L’inarrivabile – nel senso dell’intimità – oggi non esiste più, tutto è raggiungibile e tangibile, è sufficiente uno swipe up. «Antierotico» è l’aggettivo che usa Barbara Alberti per descrivere quello che stiamo trasmettendo attraverso i social media. E quella nostra, sui social, si è trasformata in una corsa esasperata al protagonismo, a una forma di esuberanza che di artistico, fotograficamente (e culturalmente) parlando, non ha nulla. Ci siamo messi in lizza per una gara che altro non è che una corsa a chi colleziona più mete nella bio di Instagram.
Non sappiamo distinguere più i sentimenti dalle emozioni e non sappiamo più comunicare. Quanto più ci siamo avvicinati all’altro con i social media online, tanto più ci siamo allontanati da sensazioni ed emozioni offline. Se a scrivere queste righe fosse Ester Viola aggiungerebbe – probabilmente – che, tra le emozioni più forti, la nostalgia è quella che abbiamo perso e che non sappiamo più provare, non sappiamo più cosa sia. La nostalgia dell’altro. Un’emozione che abbiamo deciso di chiudere in uno scatolone in fondo all’armadio, per fare spazio al narcisismo (quello che crediamo ci faccia sopravvivere). Ed è proprio la «medaglietta narcisistica» a prevalere sulla «faticosa gioia di (ri)conoscersi», scrive Vittorio Lingiardi su Robinson, in questo spazio «anaffettivo e anonimo» fatto di like.
Sentimenti, emozioni e legami
Qualche anno fa, il sociologo Zygmunt Bauman scriveva di sentimenti e ci metteva in guardia dai legami del mondo iperconnesso. È nella galassia degli hashtag e dei follow, che – secondo Bauman – i legami sono stati sostituiti dalle connessioni. On/off, accendi/spegni, connetti/disconnetti: è diventato tutto più semplice, un gioco da bambini, dice Bauman in un’intervista a La Repubblica, in un mondo dove «ciò che si guadagna in quantità si perde in qualità e ciò che si guadagna in facilità (scambiata per libertà) si perde in sicurezza».
Abbiamo collezionato una expertise in fatto di intimità connessa. Siamo diventati bravi a scattare la nostra intimità e a postarla ovunque: in un café, sul divano, tra le lenzuola, nel weekend fuori porta. Non solo. Siamo andati oltre: abbiamo superato il limite dell’individualità personale e trasferito questo bisogno di pubblico anche sui nostri figli, nipoti, cugini, sorelle e fratelli più piccoli. Abbiamo deciso noi per loro che la cosa più opportuna sia stare online, con o senza di noi, sotto gli occhi indiscreti di tutti, amici e conoscenti, followers e passanti.
Nel frattempo, abbiamo lasciato nel cassetto le parole o – nei casi più virtuosi – le abbiamo instagrammate in una caption: per un pugno di like (o per un pugno di follow). E così, più mi piace riceviamo, più il nostro ego cresce e si fortifica.
E quindi… Si riduce tutto a questo, dunque? Stiamo perdendo l’intimità e per quando ce ne saremo accorti sarà già troppo tardi?