
Mario Draghi dice che l’UE deve diventare “un’unione più profonda capace di esprimere una politica estera e di difesa”, altrimenti c’è il rischio che “non sopravviva, se non come mercato unico”.
Ha ragione a dire così? Probabilmente sì.
E questo perché siamo passati (e ci siamo ancora) attraverso due emergenze (la pandemia da Covid-19 e la guerra russo-ucraina) che hanno rafforzato il Consiglio europeo – e cioè, ancora una volta, i governi nazionali degli Stati membri – e la Commissione europea che, sotto von der Leyen, ha avuto un’impronta decisamente più sentita. Internamente, ma anche all’estero.
Il rischio è che l’Unione politica, per come ne abbiamo sempre parlato e per come la abbiamo immaginata fino a oggi, passi in seconda battuta davanti alla necessità di tenere insieme i Paesi economicamente.
Anche per questo il Parlamento europeo insiste sulla necessità di riformare i Trattati e la stessa presidente della Commissione europea ha aperto all’ipotesi nel suo discorso durante il SOTEU, lo scorso settembre.
L’Unione politica passa dall’integrazione europea e in questo l’allargamento, soprattutto più a Est, rappresenta un’opportunità di costruire una nuova narrativa europea.
Ma bisognerà armarsi di strumenti che possano funzionare da meccanismi di bilanciamento e coesistenza tra diverse anime, con velocità diverse rispetto agli altri Paesi UE e framework storico-politici diversi. Ma, sicuramente, con la volontà di costruire un futuro comune.
Lavoriamoci bene e cogliamo l’opportunità.