
Chi di comunicazione ferisce, di comunicazione perisce. Perdonatemi se nelle righe che seguiranno sarò un po’ dura, ma mi sembra opportuno tirare le fila di qualcosa che evidentemente non sta funzionando appieno in questa emergenza da Covid-19. Non ho alcuna pretesa di intervenire sul lavoro che il Presidente Conte sta facendo (e anche bene) nell’adottare le misure necessarie per contenere la diffusione del virus. E di certo non è mio compito farlo – quello lo lascio agli scienziati e ai tecnici di ministeri e comitati che stanno lavorando per rimetterci tutti in carreggiata. Ma lasciatemi dire.
Stasera ci siamo levati quest’altra conferenza stampa e anche il weekend di Pasqua da Conte Saturday Fever è salvo (e con lui anche l’industria dei meme). Come pronosticato, il lockdown è esteso fino al 3 maggio (anche per evitare un esodo irresponsabile nei due ponti del 25 aprile e del 1° maggio), seppur con qualche eccezione per alcuni settori (librerie, cartolibrerie, negozi per bambini e silvicoltura) che potranno riaprire già da martedì 15 aprile. Andiamo avanti, ce la faremo.
E ora veniamo a noi. Via il dente, via il dolore di un altro DPCM, non ci resta che Giuseppe. In queste settimane da blocco totale, abbiamo conosciuto un nuovo Presidente del Consiglio. Un dialogatore, un mediatore severo ma giusto che sta tenendo le redini di una situazione a cui nessuno arriverebbe mai preparato (e a cui probabilmente molti non vorrebbero arrivarci). Non esistono di certo corsi di formazione o master in gestione di pandemie (anche se, devo dire, Twitter e Facebook ospitano grandi esperti sul tema). Eppure, nonostante le grandi difficoltà, Giuseppe Conte si sta dimostrando un buon manager. Ma nella gestione delle cose, soprattutto quelle delicate, ci si dimentica a volte di vagliare con accuratezza e ponderare con precisione le componenti della comunicazione: il linguaggio, sia quello verbale che non verbale, il messaggio, il medium. E aggiungerei anche il feedback.
Nel grande gioco della comunicazione, soprattutto nel caso di una crisi, avventarsi e scagliarsi (contro qualcosa o qualcuno) è sempre l’opzione che provocherà, nell’immediato, effetti più controproducenti che altro. Così, in una situazione di crisi di emergenza sanitaria – come quella in cui ci troviamo, in cui incertezza e paura sono i protagonisti principali – mescolare comunicazione istituzionale e comunicazione politica (quella basilare dell’antagonismo) produrrà inevitabilmente svantaggi ed effetti totalmente opposti rispetto allo schema che ci siamo fatti in testa. Un po’ come mischiare l’acqua col vino: niente di buono.
E, allora, non dovremmo mai assistere ad una comunicazione come quella di stasera: gli attacchi politici a reti unificate nei confronti dei due leader dell’opposizione Giorgia Meloni e Matteo Salvini, da parte di un Presidente del Consiglio impegnato nella gestione di un’emergenza sanitaria, sono inappropriati, anacronistici e fuori contesto. L’avevamo già visto dall’inizio. La comunicazione istituzionale con questo Covid-19 è stata totalmente ribaltata e abbiamo anche imparato a tollerare questo cambio di impostazione mascherato da innovazione: ci siamo abituati alle conferenze stampa su Facebook live, agli «a tra poco» di un’altra dimensione spazio-temporale e, non da ultima, anche ad una scoordinata comunicazione tra Palazzo Chigi e MEF sulla linea Eurogruppo. Insomma, tutte cose che non fanno bene all’immagine istituzionale governativa e che, ora più che mai, ha necessariamente bisogno di essere salda, stabile e concreta. Perché è di questo che ha bisogno un Paese che è fermo e che nei prossimi mesi dovrà rimboccarsi le maniche in tutti i settori, nessuno escluso, per rimettersi in moto.
Ed è di questo di cui avrebbe dovuto parlare stasera in conferenza stampa il Presidente Conte, ma stasera non l’ha fatto abbastanza. In una situazione di lockdown, di curve che contano morti e contagiati e di un’economia ferma, non c’è spazio per le polemiche politiche. Il populismo va messo da parte in cantina e ritirato fuori quando è il momento di divertirci in campagna elettorale. Non è sufficiente citare tenebre e trasparenza: servono pragmatismo, continuità e stabilità. Soprattutto in questa fase acuta e fragile, in cui l’equilibrio che stiamo mantenendo può cedere da un momento all’altro. Il rischio è quello di aizzare gli animi e il passato ce lo ha insegnato più volte: parlare alla pancia delle persone non ha mai prodotto nulla di buono. Scongiuriamo, almeno per questa volta, lo sconforto delle masse. A meno che l’intento non fosse quello di buttare nella mischia della distrazione il comun denominatore MES. Se così è, vedremo i risultati sui social nelle prossime 12 ore. E allora forse sì, chi di comunicazione ferisce, di comunicazione perisce. Ma intanto, magari, lasciamo il pathos all’industria dei meme.