Con la sua morte si chiude il Novecento dell’Occidente, come ha scritto la storica Marzia Maccaferri su Domani. Una commozione quella per la Regina Elisabetta, ai cancelli di Buckingham Palace e nel mondo, che ci dice quanto i 70 anni della sua reggenza saranno tuttavia protagonisti anche sotto Carlo III, il nuovo Re del Regno Unito succeduto alla madre. Ma c’è una cosa che ha reso la Regina Elisabetta una vera protagonista fuori dal suo tempo, ma anche dai corridoi della residenza reale: lo stile inconfondibile attraverso il quale, più volte, nel corso della sua vita è stata fonte d’ispirazione per i grandi stilisti. Ma non solo. La Regina Elisabetta è stata (e resterà) anche simbolo di potere: è proprio grazie agli abiti, all’uso dei colori e degli accessori che Her Majesty ha consolidato la sua figura nel sistema della politica. Maria Cristina Marchetti, autrice del libro Moda e Politica (Meltemi) e direttrice del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Sapienza di Roma, ci spiega l’importanza della moda nella simbologia del potere come strumento di diplomazia, soft power e power dressing.
Professoressa, la Regina Elisabetta è a tutti gli effetti considerata un’icona di stile e una politica eccezionale: come si legge il power dressing di Her Majesty?
La Regina Elisabetta ha creato uno stile che si colloca fuori dal tempo e dalle mode. Ciò le ha permesso di rappresentare il potere della monarchia, che di fatto si fonda sulla tradizione. Il suo modo di presentarsi in pubblico segue un protocollo rigidamente definito, che non consente tante variazioni: capo coperto, lunghezza della gonna, divieto di indossare i pantaloni in pubblico (se non per andare a cavallo). Un ruolo centrale è stato svolto dai colori dei suoi abiti, attorno ai quali sono state costruite teorie (come quella per cui questi servirebbero a riconoscerla tra la folla). L’uso del colore, poi, specialmente quando si tratta di colori pastello, è simbolo di una ricercatezza che serve a sottolineare le distanze sociali e di classe; l’aristocrazia li ha sempre utilizzati per segnalare la sua estraneità al mondo del lavoro e delle professioni. I colori dei suoi abiti – nella loro bizzarria tutta british – hanno finito per assumere una valenza “pop”, accentuata in tarda età dal ricorso a colori acidi e sgargianti (viola, blu elettrico, verde smeraldo, giallo canarino): unico cedimento possibile alla moda.
Possiamo parlare di soft power nel caso della Regina Elisabetta? Se sì, in che modo l’ha esercitato durante il suo settennato?
Elisabetta II ha rappresentato uno degli ultimi esempi di servitrice delle istituzioni, in questo caso la monarchia, alle quali ha dedicato tutta la sua vita. Questo le ha consentito di essere rispettata e ascoltata all’interno – non dimentichiamo che il Regno Unito è una monarchia parlamentare e i sovrani inglesi sono anche governatori della Chiesa anglicana – e all’esterno, anche in contesti non necessariamente favorevoli alla monarchia inglese, come nel caso dei paesi del Commonwealth. Ha assistito al crollo dell’Impero britannico e all’uscita del suo paese dall’Ue, tenendosi sempre al di fuori da ogni ingerenza.
Donna in un mondo di uomini, in un paese in cui due regine – Elisabetta I e Vittoria – hanno di gran lunga superato i re nella difficile opera di lasciare un segno nella storia, Elisabetta II ha scelto apparentemente un low profile, in netta controtendenza rispetto al mondo contemporaneo, assumendosi il rischio di diventare il bersaglio di proclami punk, ma scegliendo volontariamente fino a tarda età di mescolarsi alla cultura pop.
Questo le ha garantito una rispettabilità che a tratti è stata interpretata come freddezza e distacco, come nel caso della morte della principessa Diana, ma che eredita una tradizione di distanza (fisica, spaziale) e di controllo delle emozioni, propria delle grandi monarchie, e che forse oggi può apparire superata. Elisabetta II ha scelto di rimanere fedele alle istituzioni e al suo Paese, rifiutando o accettando a fatica ogni spinta riformista e innovatrice nel modo di interpretare la Corona. Forse è lecito domandarsi cosa sarà dopo di lei, in un Paese attraversato da divisioni interne e da rapidi stravolgimenti sociali e che trovava in lei l’unico elemento di continuità con il passato.
Quanto incide allora la moda nella politica? Possiamo parlare di potere della moda?
È difficile quantificare l’incidenza della moda sulla politica. Certamente recupera la dimensione simbolica della politica e fa appello alla sfera emozionale, spesso relegata in secondo piano da considerazioni più razionali. La moda ha a che vedere con la rappresentazione simbolica del potere, contribuisce a veicolare contenuti, crea distanze e definisce campi contrapposti. È a tutti gli effetti una forma di comunicazione non verbale, che attinge ad altri linguaggi, rimescolandoli e attribuendogli significati nuovi, secondo lo spirito del tempo.