Non avevo programmato di fare un recap del mio 2023 per raccontare di come sia stato – ancora una volta – un altro anno difficile da affrontare, con una malattia invisibile. Fino a quando non ho letto il blog post di Michela Calculli che con accuratezza e dolcezza racconta del suo 2023 di madre e caregiver del figlio con diagnosi di sclerosi multipla. Non è che non ci avessi pensato del tutto, a scrivere di come si convive con una malattia rara. Inizialmente, ho pensato a un tradizionale carosello su Instagram per raccontare con le foto come sono stati i mesi del 2023, soprattutto dalla seconda metà in poi. Ho poi pensato di fare un vlog, per raccontare in un video di due minuti quello che ho attraversato da gennaio a dicembre – e riportare quello che sto ancora attraversando. Poi, però, nell’indecisione del questo o quello mi sono bloccata. E la verità è che, a un certo punto, mi è mancata la forza psicologica per concretizzare una di queste due idee. E sono rimasta immobile.
Poi mi sono ritrovata a leggere il racconto di Michela e le sue emozioni trascritte mi hanno spinta a condividere, ad aprirmi di più e raccontarmi. Già nel 2023, ho intrapreso un esercizio di comunicazione personale sui miei account personali e, scrivendo questo post, mi sono promessa di voler raccontare meglio le malattie rare. Un grazie a Michela, intanto, con cui non ci conosciamo, ma che mi ha fatta sentire capita e parte della sua stessa esperienza, diversa nei ruoli – lei caregiver, io paziente – ma comune nella percezione e nelle difficoltà.
Ed eccomi qui a raccontarvi di un altro anno con una malattia rara invisibile.
Breve intro: perché ho una malattia rara e che cos’è
In realtà questo non lo so. E credo che neppure i medici sappiano del tutto perché una persona si ritrovi con una malattia rara. Dopotutto è rara. Se non lo fosse, sarebbe probabilmente un semplice mal di pancia risolvibile con coccole e camomilla e io non starei neppure scrivendo questo post.
Detto ciò, io ho la malattia di Behçet e la mia diagnosi ufficiale è arrivata nel 2020, dopo anni di percorsi ospedalieri, accessi in pronto soccorso, internisti, cardiologi, dermatologi, pneumologi, case libri auto viaggi fogli di giornale. Per citarne solo qualcuno e darvi l’idea di quanti medici vediamo e quanti reparti attraversiamo – perché, purtroppo, si vedono molti medici e si girano molti reparti prima di giungere a una diagnosi definitiva.
La malattia di Behçet è una malattia rara. L’Unione europea definisce rara una malattia quando colpisce non più di 5 persone ogni 100 mila abitanti e in Italia ci sono quasi 2 milioni di persone con malattia rara. È una vasculite cronica (colpisce cioè i vasi sanguigni, infiammandoli) e si caratterizza perché può causare ulcere bipolari, lesioni cutanee e problemi alla vista. Questi sono i parametri cosiddetti principali per individuare la malattia ma, essendo una malattia multisistemica, la Behçet (o il Behçet) può colpire anche articolazioni, sistema nervoso e apparato digerente. È detta malattia della “Via della Seta” perché, pur essendo presente in tutto il mondo, è più frequente nell’area che va dal Mediterraneo alla Cina. Si manifesta intorno all’età di 20 anni (pur essendoci casi di Behçet pediatrico) e può essere legata alla presenza di un gene detto HLA-B51 (ma la mutazione genetica non è un parametro esclusivo, e per questo la diagnosi resta clinica).
Nel mio caso, ho seguito diverse terapie dal 2020 al 2023. Ho visto diversi medici e nei tre anni di follow-up e aggiustamento delle cure mi sono sottoposta a tanti controlli, perché molto spesso la malattia si manifesta in distretti e forme nuove ed è, dunque, necessario approfondire. E come molte malattie autoimmuni o autoinfiammatorie, è imprevedibile e possono volerci anni prima che vada in remissione. Per intenderci, non c’è una cura definitiva e l’obiettivo delle terapie sul lungo periodo è di fare scomparire i sintomi (mandare in remissione, appunto).
L’anno della consapevolezza
Le malattie autoimmuni hanno il fantastico dono di fare un po’ come je pare. Quando poi sono rare, la difficoltà, a volte, è doppia perché individuare la terapia giusta può diventare più lungo del normale – per quanto normale possa dirsi in questi casi. Può succedere, infatti, che quello che va bene a un paziente con la mia stessa patologia non vada bene a me o viceversa. Questo perché siamo simili nella sintomatologia, ma molto diversi nelle manifestazioni individuali.
Il mio 2023 è stato in linea con il 2022: alla ricerca della giusta ed efficace terapia, in un valzer di tentativi e aggiustamenti che per certi versi sono andati bene e per altri no. Sono passata attraverso farmaci nuovi e combinazioni che non hanno dato i risultati sperati e dei quali ho subìto gli effetti collaterali, sia a livello fisico che psicologico. Le persone che mi vedevano e sentivano tutti i giorni, ancora prima che me ne accorgessi io, hanno notato gli effetti collaterali e silenziosamente si sono presi cura di me. E per questo le ringrazio.
Ad ogni modo, tra i su e giù e i tanti fingers crossed a vuoto, sono diventata sempre più brava e conoscitrice di me stessa, dei miei sintomi e del mio corpo. In questo senso, il 2023 è stato l’anno in cui ho sperato tanto e ho sofferto tanto, ma ho anche capito cosa mi fa stare bene e cosa si incastra meglio con le mie necessità e con la ricerca del mio benessere, anche psicologico. Ecco perché l’ho definito l’anno della consapevolezza.
Ma anche l’anno del senso di colpa
Il 2023 è stato l’anno del senso di colpa. Prima di arrivare alla consapevolezza, infatti, sono passata in questi anni attraverso i sensi di colpa. Non c’è un’equazione che spieghi questo sentirsi in un certo senso inadeguati o in debito con qualcosa o qualcuno, ma io mi sono sentita così per tanto tempo e in diverse occasioni. E il 2023 è stato l’anno in cui, più dei precedenti, mi sono sentita spesso in difetto. Mi sono ritrovata, così, diverse volte a dover nascondere o camuffare un malessere, pur di non sentirmi giudicata rispetto alla mia condizione di salute o anche solo a portare allo stremo le mie forze per non venire meno ad attività, lavoro, uscite con amici. Un meccanismo di difesa che, però, più che difendermi mi stava distruggendo. Fisicamente, ovviamente, ma anche psicologicamente.
Verso la seconda metà dell’anno, ho iniziato a realizzare che mi portavo dentro questo ingombrante peso dato dal senso di colpa, come risultato di esperienze tossiche e insane. Momenti passati, ma anche recenti, in cui mi sono sentita incompresa e sono stata giudicata. A volte anche da affetti e persone vicine.
Non c’è un’equazione che spieghi il senso di colpa che si innesca mentre affronti annessi e connessi di una malattia, ma spesso questo è dato più da fattori esterni che dal rapporto con noi stessi. A farci star male, non è infatti il pensiero di dover convivere con una malattia – anzi, a questo ci adattiamo da subito appena ci viene data la diagnosi -, ma sono le relazioni con gli altri a farci sentire in colpa. Ed è questa la componente psicologica che spesso ci ritroviamo a dover imparare a gestire, per stare bene noi con gli altri. Ma soprattutto dove ci sono gli altri.
Durante questo 2023, mi sono sentita dire cose molto cattive e sono stata giudicata per le emicranie, i mal di schiena, i giorni a letto e l’invisibilità di tante manifestazioni della malattia che non si vedono e che, pur avendoli comunicati, sono stati recepiti e giudicati come esternazioni esagerate. O come una comfort zone. Alla fine del 2023 sono arrivata psicologicamente molto stanca perché mi sono ostinata a portare il mio corpo allo stremo, pur di non sentire giudizi e pregiudizi. Un atteggiamento per cui non mi do sicuramente una pacca sulla spalla. Ma sono fiera di me per avere iniziato a lavorare sul mio senso di colpa. Riconosco di avere ancora molto lavoro da fare, ma l’aver capito le dimensioni in cui voglio stare sono già un buon punto di partenza per il 2024. E spero che comunicare sempre di più le malattie rare possa contribuire a fare sentire meno in colpa persone che vivono emozioni e condizioni simili alla mia. Perché, come scrive Michela, “la disabilità invisibile e dinamica può creare non pochi fraintendimenti e non tutti hanno modo, spazio e tempo per accogliere, comprendere e agire di conseguenza. E dunque occorre comunicare con chiarezza e spiegarsi meglio che si può”.
L’anno di tanti viaggi e grandi soddisfazioni
Il 2023 è stato l’anno in cui ho viaggiato molto, soprattutto per lavoro. Ho rivisitato città in cui ero già stata anni fa e questa volta le ho viste con occhi e approcci diversi.
Per esempio, ho festeggiato a Lipari l’addio al nubilato di una delle mie più care amiche e ho scoperto che ci si può divertire tanto anche senza stancarsi, pure su un’isola. Sono tornata a Parigi per vacanza, studiando i percorsi e costruendo la mappa degli spostamenti anche sulla base delle mie energie. Ho vissuto di nuovo la gentilezza di Lisbona, concedendomi un giorno in più per raggiungere con i miei tempi Praça do Comercio, una delle mie preferite. Mi ricordavo Lisbona come una città su e giù e ora ho la conferma che quando vorrò ritornarci dovrò essere al top delle mie energie, considerata l’architettura della città.
Sono stata a Ravenna per la prima volta, dove i taxi mi hanno alleggerito risvegli difficili e giornate intense, ma dove ho anche fatto nuove e belle amicizie.
E poi ho visto Elodie in concerto a Milano, da seduta, perché verso la fine dell’anno le terapie hanno iniziato a non essere più efficaci come prima e il dolore cronico ha fatto la sua parte. Ma mi sono divertita (ed emozionata) veramente un sacco (a proposito, Elodie è pazzesca!).
Ho visto la prima neve dell’inverno a Trento, in occasione di un corso di formazione sulla comunicazione europea che ho tenuto ai giornalisti. E ho chiuso l’anno a Reggio Calabria, con la lezione in presenza a studenti, studentesse, student* dell’ITE Piria con cui stiamo facendo il bellissimo percorso “A Scuola di Europa”.
In mezzo a queste bellissime esperienze e a questi mesi faticosi ci sono io e c’è la mia malattia. E una non ha escluso l’altra, durante il 2023.
Ecco, non so cosa succederà nel 2024, ma so che così sarà anche nel nuovo anno. E non mi resta che viverlo.
Grazie di cuore per esserti raccontata. Usare la propria voce aiuta chi parla ma anche tante e tanti che nel silenzio possono ritrovarsi soli ed isolati.
E invece no, non siamo soli.
Autore
Grazie Michela, ancora una volta, per avermi incoraggiata in maniera inconsapevole. Un abbraccio grande.