
Martedì mattina si insedierà il nuovo Parlamento europeo a Strasburgo, dando ufficialmente il via alla nuova stagione politica europea. Si procederà poi con la nomina del nuovo presidente del Parlamento europeo per i prossimi due anni e mezzo (metà della legislatura), mentre giovedì l’Assemblea discuterà dei vertici del Consiglio europeo del 20-21 giugno e di oggi 30 giugno, dal quale dovrebbe (forse) finalmente uscire il nome del nuovo Presidente della Commissione europea tra gli Spitzenkandidaten indicati dai partiti.
Per gli addetti ai lavori (e non) la nuova legislatura europea è carica di aspettative sotto il profilo politico. Lo scenario con cui si è arrivati alle elezioni europee del 26 maggio comporta la definizione di un’agenda setting precisa per i prossimi cinque anni che, necessariamente, dovrà tenere conto di priorità che dovranno essere scandite all’interno di un nuovo processo di politicizzazione dell’Unione europea. Il tira e molla della Brexit (che dovrebbe chiudersi il 31 ottobre con la definitiva uscita del Regno Unito) e l’espandersi di movimenti euroscettici e antieuropeisti sono sintomi di un’integrazione europea che, negli ultimi anni della legislatura appena trascorsa, in parte non ha funzionato e che ha, in maniera inevitabile, lasciato fratture politiche e sociali all’interno dell’Unione. Gli strascichi della crisi dell’Eurozona e l’incapacità di dare all’Unione una vera e propria politica economica europea hanno, inoltre, contribuito a generare in Europa una forma di panico dell’integrazione in cui i cittadini europei faticano a riconoscersi uniti nella diversità, ma trovano più semplice restare divisi nel gioco degli uni contro gli altri.
Resta però un margine – uno spiraglio di luce, potrei dire – all’interno del quale l’Unione europea e le sue istituzioni potranno lavorare da subito e per i prossimi anni, se vorranno impegnarsi a farlo insieme. Senza dubbio, lo svuotamento della politicità delle decisioni prese a Bruxelles ha provocato un inevitabile distacco dei cittadini nei confronti dell’Unione con una conseguente difficoltà a definire un’identità comune e condivisa della società europea. Ma le elezioni del 26 maggio hanno riaperto i giochi: la partecipazione elettorale, la più alta dagli ultimi vent’anni con più del 50% di affluenza, è un dato nuovo nello scenario attuale in cui egoismi nazionalisti e antieuropeisti trovano comunque un proprio spazio di manovra. Di fronte a nodi ancora da sciogliere tra istituzioni e Stati membri, dal Fondo salva-Stati alla Riforma di Dublino, l’Unione europea dovrà lavorare per riconquistare i suoi cittadini, ripartendo da una nuova narrazione europea. E, in questo, una buona base di partenza la dà l’ultimo Parlametro 2018 che registra un crescente apprezzamento dei cittadini europei nei confronti dell’Unione e l’aumento del senso di appartenenza (62%). Un dato che non si vedeva dalla caduta del Muro di Berlino.
Per mantenere il piccolo successo conquistato all’indomani del 26 maggio, ecco allora che l’Unione europea dovrà realizzare una nuova stagione di riforme che metta ai lati tecnicismi e tecnocrazia e dia spazio alla politicità all’interno dei processi di decision-making. Dovrà allora diventare prioritario lavorare sulla sua politicizzazione e sulla partecipazione democratica: in questo modo sarà possibile – o quantomeno auspicabile – una riduzione del buon vecchio e, oramai, inflazionato a tutti gli effetti gap di legittimità.