
Se c’è una cosa dell’Unione Europea che resta incomprensibile agli occhi dei comuni mortali, questa cosa è sicuramente lo Spitzenkandidat – insieme a Consiglio europeo e Consiglio d’Europa, certo (che niente ha a che fare con l’Unione Europea, lo ricordo). Il sistema dello Spitzenkandidat (o del candidato-guida) per eleggere il Presidente della Commissione Europea è uno dei tanti meccanismi europei a cui ci siamo affezionati e che con ogni probabilità – mi dispiace dirlo – non vedremo più applicato in futuro. Il punto ora è spiegare perché i cosiddetti candidati-guida abbiano avuto vita breve e perché non li vedremo più.
L’amore ai tempi dello Spitzenkandidat
Per capire quand’è che ci siamo innamorati segretamente dello Spitzenkandidat, bisogna andare indietro al 2014, ovvero ai tempi di Juncker, primo e ultimo Presidente ad essere eletto con questa procedura. Con lo stesso metodo avrebbe dovuto succedergli nel mandato Manfred Weber, Spitzenkandidat del PPE, il partito che di fatto ha ottenuto la maggioranza alle Elezioni Europee di maggio 2019. Ma con queste ultime elezioni la procedura è finita affossata dal Consiglio europeo che, nell’incertezza generale, ha eletto Ursula von der Leyen Presidente della Commissione Europea. A sorpresa di molti, insomma, lo Spitzenkandidat si è rivelato un fuoco di paglia, morto sul nascere dal Consiglio europeo che ha deciso di sfiduciare il ruolo di questa importante figura.
Ascesa e declino dello Spitzenkandidat
Con questa scelta del Consiglio, resta da capire perché lo Spitzenkandidat abbia avuto vita breve. L’analisi segue sostanzialmente due binari: il primo, che altro non è che una questione di interpretazione, istituzionale e non; il secondo che comprende, invece, una riflessione più ampia legata alla dimensione politica e alla politicizzazione che questa figura avrebbe potenzialmente messo in moto a favore dell’Ue. Secondo la prima chiave di lettura, infatti, lo Spitzenkandidat è il risultato di una scelta, un meccanismo attraverso il quale il Consiglio (ovvero i Capi di Stato e di governo che lo compongono) nominano presidente della Commissione europea il candidato del partito che ha vinto le elezioni europee. Per chiarirci, la procedura dello Spitzenkandidat non è prevista dai Trattati UE, ma si tratta di un accordo tra Consiglio e Parlamento che prevede di assegnare la presidenza della Commissione al leader del partito che ha ottenuto la maggioranza dei voti alle elezioni. Proprio in quanto accordo tra istituzioni – e non trattandosi di disposizione contenuta nei Trattati – non c’è ragione di credere che il Consiglio abbia agito alle spalle del Parlamento europeo: Ursula von der Leyen è espressione del Partito Popolare Europeo (primo partito alle elezioni con 182 eurodeputati) e, dunque, espressione democratica dei cittadini. Che hanno votato PPE.
Politicizzazione e Spitzenkendidat
Fin qui tutto bene. Ma seguendo il secondo binario resta da considerare il ruolo politico e politicizzante del candidato-guida. Lo Spitzenkandidat è stato pensato per colmare il deficit democratico dell’Unione Europea, ovvero quella mancanza di legittimità di cui soffre l’UE praticamente da sempre, insieme alle sue istituzioni. Le elezioni europee costituiscono la massima espressione del gap strutturale, non sentendosi i cittadini pienamente inseriti nella sfera pubblica europea e impossibilitati ad esprimersi realmente e di fatto sul governo (o sulla governance) dell’Unione. Da qui, la necessità di ampliare le possibilità di allargare la partecipazione e l’opzione di scelta dei cittadini europei attraverso l’elezione del candidato-guida, cercando in questo modo di avvicinarli in maniera più concreta alla dimensione politica europea. Le elezioni europee vengono definite da sempre elezioni di secondo ordine (second order elections) e non è un caso che dalla prima chiamata al voto europeo nel 1979 fino alle più recenti elezioni del 2014, la partecipazione alle urne sia calata del 20% (dal 62% al 42%); un dato che è riuscito a riprendersi di qualche percentuale nel 2019 (50,66%). La campagna elettorale europea attorno allo Spitzenkandidat ha sicuramente giocato un ruolo positivo nella partecipazione al voto: la possibilità di partecipare, scegliere e in un certo modo influenzare il processo di nomina del presidente della Commissione europea sono tre variabili significative che ruotano attorno alla galassia dello Spitzenkandidat. Che però – a quanto pare – vengono meno.
E allora come finirà?
È molto probabile insomma che non vedremo più lo Spitzenkandidat. L’idea di partecipare più attivamente alle elezioni europee e seguire i dibattiti dei candidati in pieno stile #DemDebate americano sarà forse un’idea démodé alla prossima tornata elettorale europea e sicuramente superata. L’elezione di Ursula von der Leyen è passata un po’ nel silenzio generale – o almeno così è stato per chi si è concentrato più sulla sostanza che sulla forma – e rappresenta a tutti gli effetti una novità rispetto al 2014. Il tentativo dell’Unione di darsi un tono più politico (e politicizzato) oggi si scontra con questa nuova battuta d’arresto che – dispiace dirlo – è frutto, ancora una volta, delle decisioni dei leader interni al Consiglio europeo. Certo è che l’interrogativo su come l’Unione Europea possa colmare il famoso deficit democratico rimane e la fiducia che questo possa accadere sembra essere tutta in mano alla Conferenza sul Futuro dell’Europa che si aprirà il prossimo 9 maggio. Ma una sorta di rovescio della medaglia l’abbiamo già visto con il Parlamento Europeo in occasione delle nomine dei Commissari UE. Chissà allora che nei prossimi mesi – passata l’emergenza coronavirus e superata definitivamente la turbolenza Brexit – non vedremo quel riscatto politico proprio nell’Assemblea di Strasburgo. Dopotutto, sul Quadro Finanziario Pluriennale il Parlamento Europeo sta già tenendo duro da un po’.